Oggi, venerdì 5 novembre, la Galleria Corsini riapre al pubblico con la prima mostra dedicata a Plautilla Bricci, pittrice e architetta vissuta a Roma nel corso del Seicento.
Sfogliando un manuale di storia dell’arte, sono molti i nomi maschili che ne popolano le pagine, quasi tutti. Ci emozionano, ci commuovono, ci riportano alla mente immagini di quadri dai colori accesi, nature morte, statue di marmo e di bronzo, architetture che hanno plasmato città e storie, capolavori che nessuno si sentirebbe mai di mettere in discussione. Molti di meno, d’altro canto, sono i nomi delle donne che hanno fatto dell’arte il proprio mestiere e sicuramente non perché il loro talento fosse meno notevole.
Pensiamo a Claricia, una delle poche miniatrici medievali di cui conosciamo il nome grazie alla firma discretamente e scaltramente nascosta nella gambetta di un capolettera “Q”; Sofonisba Anguissola, abilissima nella ritrattistica al punto da essere preferita ai colleghi maschi anche da re e regine; Lavinia Fontana, i cui colori dolci e tratti gentili facevano sì che a Roma si facesse a gara per essere ritratti dalla “pontificia pittrice”; Artemisia Gentileschi, che si è fatta strada in un mondo di uomini pennellando su ogni opera il dolore della violenza subita; Fede Galizia, pittrice barocca che plasmava con realismo le sue tele, per poi morire vittima della peste narrata da Manzoni; e ancora Orsola Caccia, Elisabetta Sirani, Rosalba Carriera, Angelika Kauffmann, Marie-Guillemine Benoist, Berthe Morisot, Eva Gonzalès, Suzanne Valadon, Camille Claudel, Tamara de Lempicka, Frida Kahlo, Gina Pane, Rebecca Horn, Marina Abramović.
Questi sono solo alcuni dei nomi di donne, di artiste che hanno lasciato un segno nella storia e che sono riuscite a farsi strada in un mondo dominato da uomini per uomini, sicuramente con molti più sforzi rispetto ai loro colleghi. E per ognuna di queste donne, saranno state molte di più quelle impossibilitate ad esprimere il loro talento perché ostacolate dalla famiglia e dalla società.
La mostra su Plautilla Bricci può essere quindi un’occasione, per chiunque si trovi a Roma, per osservare da vicino il frutto dell’ingegno di una di queste donne riuscita a vincere pregiudizi e costumi, svolgendo liberamente il mestiere che sentiva come suo.
Curata da Yuri Primarosa per le Gallerie Nazionali d’arte antica di Roma e con sede a Palazzo Corsini – che riapre al pubblico dopo un anno di chiusura – la mostra riunisce per la prima volta l’intera produzione grafica e pittorica dell’artista, accostando alle opere della Bricci opere di altri maestri dell’epoca.
Plautilla arrise il successo quando ancora era in vita, rivestendo un ruolo di spicco nella società artistica romana del suo tempo: Baldinucci la elogia “per valore nell’arte della pittura e architettura”.

Il padre Giovanni, pittore e architetto anch’egli e amico e vicino di casa del Cavalier d’Arpino, era membro dell’Accademia di San Luca e frequentava assiduamente il circolo letterario, artistico e musicale al quale lo stesso Cesari aveva dato vita. Per Plautilla fu dunque immediato trovarsi a contatto con un panorama artistico all’interno del quale, fra l’altro, le donne erano le benvenute. Dopo una prima educazione impartita dal padre, molto probabilmente Plautilla si accinse a frequentare l’atelier del medesimo Cavalier d’Arpino, lo stesso nel quale si formarono Caravaggio e Gudo Reni.
Per la prima parte della sua carriera, Plautilla si destreggiò principalmente nell’ambito delle arti minori, come del resto tante colleghe della generazione precedente alla sua, lavorando a miniature, al ricamo e alla pittura devozionale. In particolare, a questa fase risalgono molte delle cosiddette “capocce”, dipinti di piccolo formato raffiguranti solitamente busti o teste di Madonne, Sante e Martiri.
La svolta avvenne con la commissione di una Madonna con Bambino da parte dei carmelitani della chiesa di Santa Maria in Montesanto, di cui siamo al corrente grazie a un’incisione del 1792 di Pietro Bombelli, che definisce Plautilla una pittrice “per una tal’attività naturale”. La leggenda narra che la tela, di dimensioni maggiori rispetto a quanto la Bricci ancora “giovinetta” si aspettasse, portò quest’ultima ad avere delle incertezze nel tratteggiare in maniera convincente il volto della Madonna. Dopo aver lasciato il volto incompiuto ed essersi addormentata stanca, Plautilla trovò l’indomani il volto di Maria già terminato per intervento divino e, nel corso del restauro del 2016 della Madonna Achiropita (“ἀ-” privativo, “χείρo-“, che vuol dire “mano” e “ποιείν”, creare), ovvero “non fatta da mano (umana)”, venne ritrovato un cartiglio incollato al supporto ligneo con un’iscrizione dattilografa circa l’evento miracoloso presumibilmente avvenuto e la firma della pittrice.

In realtà, quasi sicuramente, Plautilla eseguì la tela interamente di sua mano all’età di ventiquattro anni. Questo singolare evento e la sua risonanza, però, diedero alla Bricci lo slancio per affermarsi come artista conosciuta e guadagnare un occhio di riguardo da parte della confraternita dei carmelitani. Entrata a far parte della prestigiosa Accademia di San Luca, poté conoscere i grandi della sua epoca, come ad esempio Artemisia Gentileschi.
Altrettanto, se non addirittura più fiorente, fu la sua carriera come architetta. La Bricci, prima “Architettrice” della storia, conobbe forse lo stesso Bernini, assimilando i rudimenti della materia in parte dal padre e in parte da autodidatta osservando il cantiere a cielo aperto che era la Roma seicentesca. Le sue opere più importanti sono sicuramente due gioielli di cultura barocca: Villa Benedetti, detta “il Vascello”, una nobile dimora appena fuori porta San Pancrazio sul Gianicolo; la cappella di San Luigi IX, nella celebre chiesa di San Luigi dei Francesi.

La scelta di affidare un lavoro fondamentale come quello della cappella di San Luigi a una donna si può giustificare con l’intervento della sovrana Anna d’Austria, benefattrice e sostenitrice della creatività femminile e incline a proseguire quanto iniziato da Caterina de’ Medici al momento della costruzione della medesima chiesa.
Nel 1672 dipinse a tempera una lunetta raffigurate La presentazione del Sacro Cuore di Gesù all’Eterno Padre, trattando per prima il tema e inventando dal nulla un’iconografia. Nel 1675 le venne invece commissionato uno stendardo professionale dalla Compagnia della Misericordia di Poggio Mirteto, che le pagò un compenso di “soli” 100 scudi, pochissimi se paragonati alle somme che venivano pagate in quello stesso periodo a Bernini, a Gaulli o a Berrettini.
Morto il fratello nel 1692, entrò nel monastero di Santa Margherita in Trastevere, dove morì il 13 dicembre 1705. “Plautilla Signora Romana”, è scritto sul Libro dei Morti.
La mostra, organizzata a Palazzo Corsini e visitabile dal 5 novembre 2021 al 19 aprile 2022, mette in luce attraverso le più importanti opere (fra cui il prezioso prestito del quadro dell’altare di San Luigi che chiude la mostra), alcune restaurate per l’occasione, progetti architettonici (spicca quello per la Trinità dei Monti), una nuova tavola proveniente da una collezione privata. Il tutto “accanto a capolavori anch’essi inediti o poco conosciuti dei maestri a lei più vicini”, come riporta il sito ufficiale delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini: è infatti l’Autoritratto di Artemisia Gentileschi a introdurre alla conoscenza di quest’altra grande artista seicentesca.
La personalità di Plautilla le ha permesso di destreggiarsi abilmente fra la protezione del padre e l’appoggio dei suoi committenti, senza mai doversi sposare e vivendo solo del suo lavoro. Unico architetto donna dell’Europa preindustriale, la sua “rivoluzione silenziosa” ha sicuramente costituito un importante passo in avanti in un settore, quello architettonico, prima esclusivamente maschile. E questa figura, la cui biografia è a tratti avvolta da una nebbia che si sta ancora tentando di diradare del tutto, merita sicuramente un’attenzione e una visibilità nuova.
“Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società”.
Rita Levi Montalcini