L’ignoto, un concetto complesso intorno al quale riflettere. Già il solo fatto di provare a materializzarlo nelle nostre menti, cercare di dargli una qualche forma, una sua peculiare sfumatura, rappresenta di per sé una sfida. “Conoscere l’ignoto”: un’apparente contraddizione che accompagna l’uomo da millenni. Parliamo dell’ignoto, per antonomasia non lo si conosce. E questo ha stimolato la curiosità umana fin dalle origini.
Da quando l’uomo ha formulato il concetto di casa, di appartenenza, il passo successivo è stato quello di espandere i propri orizzonti, di abbatterli, di valicare il confine che egli stesso aveva tracciato. Di poter giungere, in tal modo, a scoprire ciò che gli era sconosciuto, attraversando un oceano di sogni e di sabbia. L’arte è sempre stata il mezzo di espressione più potente attraverso cui manifestare i propri intenti e le proprie idee e, anche in questo caso, essa ha accompagnato l’uomo nella ricerca di una modalità per esprimere questo desiderio.
Fra quelle metafore che per Michel de Montaigne incarnano le visage du monde – una rappresentazione assoluta dell’umano nell’estrinsecazione massima del suo essere – possiamo scorgere anche una figura intenta a scrutare l’orizzonte dalla prua della sua nave, oppure legata all’albero maestro di quest’ultima, fra le braccia di una ninfa tristemente innamorata o, ancora, avvolta da una fiamma infernale biforcuta, se consideriamo la hýbris nella sua accezione dantesca.
“Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti – finalmente e con che gioia – toccherai terra tu per la prima volta”.
Ulisse rappresenta la fame di ignoto per eccellenza, da ormai più di due millenni. Da Omero a Kazantzakis, passando per Joyce e Walcott. Viaggiatore dal multiforme ingegno. Pioniere degli avventurieri. A partire dalla sua paradigmatica figura, innumerevoli sono stati i viaggiatori che hanno sfidato l’ignoto e che ormai scolpiti nell’immaginario collettivo si addentrano nella scoperta del non conosciuto.
Lo fanno nella letteratura, personaggi erranti mossi dalle più disparate motivazioni; lo fanno nei libri di storia, quei grandi esploratori che prima solcavano i mari e che ora solcano parole, incise nero su bianco per ripercorre gli anni, per attraversare i secoli; lo fanno anche sui libri di storia dell’arte, viaggiatori immobili su distese sconfinate, o in movimento, avvolti dalle tempeste di luce di Turner.
Il romanticismo è stato il movimento artistico che ha fatto dell’indagine circa l’ignoto uno dei pilastri portanti della sua stessa essenza. La tensione al sublime, la costante aspirazione alla meraviglia dettata dalla sorpresa e scaturita da essa: questi sono gli elementi che hanno guidato scultori e, in questo caso, soprattutto pittori. Turner, Friedrich, Constable. Ogni paesaggio, ogni scorcio, ogni veduta catapulta l’osservatore in una dimensione irreale dove il mistero e l’indissolubile legame fra natura e ignoto elevano lo spettatore al sublime, con un gioco magistrale di luci che porta a cogliere ogni sfumatura del cielo e trasformarla in desiderio di scoperta per chi osserva.
William Turner, Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1835
Parkinson, Gauguin e Matisse sono solo alcuni dei pittori che hanno trasposto l’ignoto direttamente su tela, che si sono avventurati in luoghi esotici e lontani e hanno impresso profumi, sguardi e sensazioni che tendono la mano al misticismo della novità.
Infine, ci sono Füssli, Goya e Magritte, che hanno ricercato la loro verità non tanto viaggiando verso un altrove, bensì nell’interiorità dell’inconscio umano, un tipo di ignoto che ci ritroviamo dentro ma la cui ricerca può essere persino più tortuosa di quella nel mondo esterno e sconfinato, perché ha una natura inaspettatamente ancora più sconfinata. René Magritte, in particolare, può essere identificato proprio come il pittore dell’ignoto. “La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto”. L’artista si serve della realtà come mezzo per esprimere l’inafferrabilità di ciò che ci circonda; per tradurre ciò che è ignoto, nella nostra mente, nella nostra vita, in un’immagine paradossale ma al contempo facilmente comprensibile tramite la semplice osservazione. Un viaggio che il pittore compie destreggiandosi fra i meandri della psiche umana e che ognuno di noi ripercorre indossando come un paio di occhiali il filtro tramite cui Magritte si approcciava alle cose, alla loro indefinibilità.
René Magritte, La riproduzione vitata, 1937
Magritte ha utilizzato come nave un pennello, servendosi della sua mente per orientarsi e della sua innovativa concezione filosofica della vita per offrire al mondo una nuova prospettiva. È il 3 agosto del 1492. Centoventi uomini sono distribuiti su tre imbarcazioni. Manca circa mezz’ora al sorgere del sole e Colombo salpa da Palos, ignaro di ciò che lo avrebbe atteso. La nave di Colombo dipinge in mare delle scie, come fosse un pennello. Colombo si lancia verso l’ignoto, lo punta con sguardo da corsaro, “e naviga, naviga via, verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria”.
Nella sua Repubblica, Platone spinge il prigioniero fuori dalla caverna, proprio verso l’ignoto, lo rende partecipe di una meraviglia scaturita esclusivamente dall’accettazione e dall’incontro con ciò che non si conosce, uno scontro con il nuovo che, positivo o negativo che sia, porta comunque ad una crescita. Il viaggio verso l’ignoto non è “viaggio” esclusivamente nel senso più stretto del termine, esso implica sempre una crescita personale, una consapevolezza maggiore circa noi stessi e il mondo. La tensione all’infinito è sempre un viaggio, che sia con lo sguardo, oltre una siepe in un paesino delle Marche; che sia in piedi, con un bastone a reggere il molle peso di un corpo meravigliato da una distesa di nebbia che si fonde in maniera inscindibile con la roccia e che si mescola ad essa quasi fossero colori su una tavolozza; che sia attraverso un nóstos, con le vele spiegate e una meta avidamente custodita fra le pieghe dell’anima; che sia tramite la rappresentazione di un ignoto interiore, di uno specchio che riflette qualcosa di surreale, con una mela davanti al viso e un cappello in testa. “Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare”.
l'Autrice
Paola Pulvirenti
Mi chiamo Paola Pulvirenti, ho ventiquattro anni e frequento un master in Management dell’arte e dei beni culturali presso la Treccani. Sono nata a Leonforte, un piccolo paese nelle terre di Proserpina. Dopo aver vissuto gli anni della triennale a Catania, mi sono trasferita a Ravenna e ho concluso un percorso di laurea magistrale in storia dell’arte, volto alla tutela, alla valorizzazione e alla comunicazione del patrimonio.
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