L’arte, al giorno d’oggi, sfocia spesso in quello che si potrebbe definire “consumismo visivo”. I mass media ci bombardano continuamente di immagini e noi finiamo per assorbirle anche passivamente. I social, da questo punto di vista, hanno sicuramente contribuito a una diffusione dell’immagine ancora più immediata e capillare. Se da un lato questo fenomeno ha alimentato quel sovraccarico visivo che rappresenta, probabilmente, uno dei problemi del nostro millennio, d’altro canto ha permesso all’arte di assurgere a livelli di circolazione che mai avremmo potuto immaginare. Ci sono artisti, movimenti, singoli pezzi che si sono prestati tantissimo alla diffusione, e se in alcuni casi si tratta di opere facilmente riconducibili ad un’immediata decifrazione iconografica e iconologica, altre volte si sono cristallizzate nell’immaginario popolare come copertina di un libro, come opera che affianca sui libri di scuola un testo, edizione dopo edizione, o ancora semplicemente condivisa più e più volte. Ma un’immagine ha sempre una storia dietro, la si può leggere come fosse composta di parole e non solo di linee e colori, e da rappresentazione bidimensionale si può sfogliare la sua narrazione come siamo soliti sfogliare le pagine di un libro.
Ad esempio, quello dei Preraffaelliti è un movimento facilmente riconoscibile per lo stile, per i temi, ma che spesso – a differenza di alcune delle opere da esso prodotte – non ha avuto un vastissimo riconoscimento nell’immaginario collettivo. La stessa parola “preraffaellismo” è spesso abusata, in Italia e in Francia ma anche in Inghilterra, dove il movimento ebbe origine. Le opere prodotte da questi pittori sono tra le più conosciute e apprezzate espressioni dell’arte inglese ma il termine è vago e ampio, spesso appiattito a mera ramificazione del gusto vittoriano. Quella dei Preraffaelliti fu una presa di posizione nettissima, una rivoluzione in seno al rigorismo dello stile fortemente accademico che dominava la società inglese di quegli anni, una rivoluzione basata su un’estrema ricerca estetica – oggi, diremmo edonisticamente e nostalgicamente estetica – e con un fortissimo richiamo a temi da tempo accantonati: il Medioevo e il suo immaginario.
“Si facevano chiamare Preraffaelliti; non che imitassero i maestri italiani prerinascimentali, ma nel loro lavoro, in contrapposizione alle facili astrazioni di Raffello, trovavano un più forte realismo immaginativo, un più attento realismo tecnico.” (Oscar Wilde, 1882)
Siamo nell’autunno del 1848: è l’anno della Primavera dei popoli e della parallela fine, in Inghilterra, del movimento cartista per i diritti politici dei lavoratori, che aveva guardato con simpatia ai moti rivoluzionari dei precedenti mesi. Inseriti in questo contesto di fermento politico e sociale di respiro europeo e forti dell’esempio di Modern Painters, opera di John Ruskin pubblicata nel 1843, un gruppo di tre giovani di età compresa fra i 19 e 23 anni si riunisce a Londra e fonda una vera e propria confraternita, che inizialmente aveva il nome di “Cristiani Primitivi” e che, immediatamente dopo, diventa dei “Preraffaelliti”.
La confraternita era dunque formata dai tre pittori e fondatori Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt, a cui poi si aggiunsero il pittore James Collison, lo scultore e poeta Thomas Woolner e i due critici Frederic George Stephens e William Michael Rossetti. Sette uomini decisi a superare le forme del classicismo accademico, recuperando veridicità, spontaneità e adesione alla natura che – secondo loro – avevano caratterizzato in modo preponderante l’opera dei predecessori di Raffaello, medievali e quattrocentisti. Un approccio basato sul culto della bellezza, seguendo l’onda del Romanticismo ma con una fortissima accezione Decadente ed Estetizzante.

La mostra “Preraffaelliti. Rinascimento Moderno”, allestita fino al 30 giugno 2024 ai Musei San Domenico di Forlì, ha il merito di puntare un faro sulla produzione preraffaellita e di mettere in luce la narrazione dei suoi protagonista, con 320 opere provenienti da tutto il mondo – dipinti, sculture, disegni, stampe, fotografie, mobili, ceramiche, opere in vetro e metallo, tessuti, medaglie, libri illustrati, manoscritti e gioielli – in dialogo con decine di capolavori italiani dei grandi maestri, da Cimabue a Botticelli, da Michelangelo a Guido Reni, per citarne solo alcuni. La mostra, suddivisa in ben 16 sezioni, è stata curata da Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Francesco Parisi e Cristina Acidini con la consulenza di Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice.
La cultura romantica contribuì sicuramente all’edificazione dell’impalcatura fortemente idealizzata e mitizzata dell’idea di Medioevo e del primo Rinascimento portato avanti dai Preraffaelliti. La certezza che “soltanto nelle opere più antiche si potesse trovare la salvezza” si fa strada a inizio Ottocento adagiandosi come un manto e prendendo la forma, man mano, delle esigenze storiche del periodo: quel modello di “antico” diventa un appiglio flessibile e malleabile che si presta alla Restaurazione politica, alla polemica sociale contro l’industrializzazione, alla ripresa dell’ispirazione religiosa (e quindi di tutto l’universo iconografico biblico) e alle tematiche risorgimentali. La tensione ad un infinito atemporale e la ricerca di un io interiore in questo infinito, in bilico fra tensione e introspezione, viene proiettato tutto nella mitizzazione dell’antico e nel recupero di un sentimento estetizzante, di una ricerca di arte spontanea e immediata, fuori dai codici di rigidità dell’accademismo che, per i Preraffaelliti, allontanavano l’artista e anche il fruitore da quella componente onirica e irrazionale che permetteva di tendere all’infinito. Non, dunque, una semplice fuga nell’immaginario del Medievale favoloso, nei suoi paesaggi fiabeschi, fra amore e inganni, dame e cavalieri, attrazione e dolore; ogni episodio biblico, leggenda arcaica e mitologica, estrapolazione poetica mirava a una reinterpretazione di tematiche antiche alla luce della sensibilità moderna, intrisa di spiritualismo, certo, ma alla fine intrinsecamente e intimamente laica.

La complessità di un movimento frastagliato, difficilmente classificabile e, per questo, spesso non nettamente isolato a livello di critica come quello dei Preraffaelliti risiede proprio nel fatto che questi artisti si lasciarono sì trasportare dalla corrente Romantica che già, in pittura come nella letteratura, prendeva piede. Essi, però, diedero ad alcuni dei temi preponderanti del movimento delle sfumature totalmente nuove: la bellezza edonistica ed estetica si fonde infatti nelle loro opere ad una totale astrazione, che riesce quasi a estrapolare ogni soggetto e ogni scena non solo dal loro tempo, ma da qualunque tempo. È come se le opere dei Preraffaelliti, così rivoluzionarie negli intenti e nella rappresentazione eppure così volte al passato nella scelta dei soggetti e delle fascinazioni, dessero come risultato dell’equazione un’atemporalità che, forse, è la risposta alla fortissima fascinazione che ancora provoca in noi la loro visione.
C’è poi la componente femminile, che funge da vera protagonista delle opere di tutti i preraffaelliti. La donna preraffaellita ha una bellezza aggressiva in un modo estremamente dolce. Nel 1860, Dante Gabriel Rossetti prese in moglie la giovanissima modella Elisabeth Eleanor Siddal, da allora modella prediletta della confraternita, prototipo ideale di casta vergine. “Solo guardandola riesci ad emendarti dei tuoi peggiori difetti”, diceva di lei Ruskin. Si tratta di un’avvenenza quasi angelicata nell’accezione stilnovista del termine: c’è un’intimità, che emerge da ogni sua rappresentazione, ma allo stesso tempo si interpone una distanza nettissima fra la casta donna eterea e lo sguardo che su di lei si posa. Intimità e distanza che entrano perfettamente in connubio con una fisiognomica, quella preraffaellita, segnata da linee dure, tratti affilati, e allo stesso tempo movenze, gesti, sguardi dolcissimi, capelli fulvi, morbidi e lunghi e tocchi, abbracci e mani che si sfiorano in modo apparentemente impalpabile. Siddal morirà suicida nel 1864, lasciando Rossetti dilaniato dal dolore e sempre più vicino idealmente a Dante nel suo rapporto con Beatrice, celeste e terrena insieme.

E se Elisabeth Siddal ha incarnato la versione più pura, candida e serafica della femminilità preraffaellita, Jane Burden ne ha esaltato invece il lato più carnale e al contempo malinconico, tagliente e penetrante eppure con una tristezza di fondo insinuata nelle pieghe dello sguardo. Jane Burden sposò il pittore inglese William Morris, padre dell’Arts and Crafts Movement, ma fu musa e amante di Rossetti fino alla morte dell’artista. Un’eleganza fortemente anticlassica, una bellezza selvaggia che lo scrittore americano Henry James descriverà così: “guardandola è difficile dire persino se sia un originale o la copia di un quadro. In ogni caso è una meraviglia”.

Una costante tensione – quella dei Preraffaelliti – fra erotismo e puritanesimo, fra carnalità e idealizzazione. Un intreccio fra amori terreni e aspirazione alla più sublimata bellezza artistica come fine ultimo che ha segnato la Pre-Raphaelite Brotherhood in tutto il suo sviluppo.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento emerse la seconda generazione dei Preraffaelliti, che al termine “Arte italiana del Quattrocento” sostituì “Renaissance” per indicare l’arte precedente a Raffaello. E lo stesso Oscar Wilde, durante una conferenza, associò il fenomeno in atto nelle arti visive britanniche ad un vero e proprio Rinascimento: “lo chiamo Rinascimento inglese perché è indubbiamente una sorta di rinascita dello spirito dell’uomo, analoga al grande Rinascimento italiano del Quattrocento”.
Tutto questo è raccontato nella mostra a Forlì: i temi dominanti delle opere esposte permettono una vera e propria passeggiata nella selva dei temi sociali, biblici, nazionalisti, shakespeariani, danteschi, arturiani e pongono un occhio particolare alla pittura di paesaggio che, proprio con i Preraffaelliti, per la prima volta fu pittura all’aperto, fuori dallo studio, per studiare meglio motivi naturali ed effetti della luce.
Lentamente ma inesorabilmente, il movimento preraffaellita finì per confluire nella sconfinatezza del simbolismo europeo. Ebbe una conclusione e gli artisti che vi avevano aderito giunsero a maturazioni artistiche differenti, come un tessuto che finisce per sfilacciarsi. Però, nel perimetro del Museo civico San Domenico, il loro percorso è cristallizzato e messo in dialogo con i capolavori da cui ha tratto spunto. Le opere sono fissate nel tempo, ma rese eteree e atemporali come, effettivamente, sono le suggestioni che trasmettono.

“Sognai le Potenze affini, che il cuore trova belle: Verità con temute labbra; occhi levati al cielo, la Speranza; e Fama che accende, con ali sonore, le ceneri del Passato in segnali di fuoco, ad atterrire il volo di Oblio; e Gioventù, con ancora qualche capello d’oro cadente sulla spalla dopo l’ultimo amplesso in cui due dolci braccia lo strinsero forte; e Vita, sempre a intrecciar fiori che vestiranno Morte.” (Dante Gabriel Rossetti)