Edda Ciano Mussolini, figlia prediletta di Benito Mussolini e moglie del braccio destro del Duce, nonché ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, visse una vita all’insegna del fascismo, professandosi essa stessa, fino alla fine, profondamente e sentitamente fascista.
Nel settembre del ‘45, a cinque mesi della fucilazione del padre a piazzale Loreto e a ventuno da quella del marito per mano del Duce stesso, Edda venne confinata nell’isola di Lipari, la stessa isola che paradossalmente aveva ospitato durante la guerra, per anni, gli oppositori antifascisti che venivano puniti con l’emarginazione.
Edda e Galeazzo Ciano
Il 26 Aprile 1945, all’indomani della liberazione, venne frettolosamente emanata una legge per tutti coloro i quali avessero “tenuto una condanna ispirata ai metodi e al malcostume del fascismo” ed è certo che Edda rientrasse appieno all’interno di questa categoria, macchiandosi per di più della colpa, stando alle carte, di aver ispirando con continuità la politica fascista che condusse all’alleanza con la Germania e, in seguito, alla Guerra. Dopo essere stata ospite non desiderata della Svizzera insieme alla madre, Donna Rachele, e ai tre figli che si vide strappati via al momento del rimpatrio, fu sottoposta ad un interminabile e umiliante viaggio che la condusse all’isola in quanto “sorvegliata speciale numero uno”, come amava definirsi lei stessa.
L’isola era stata per anni un carcere a cielo aperto, l’equivalente di un triste destino fatto di sguardi impauriti e di isolamento, perché la gente temeva e al contempo quasi spiava ogni confinato. In questo quadro, però, emergeva una carismatica e particolare figura: don Eduardu Bongiorno, una delle persone più conosciute e stimate di Lipari, capo della banda musicale e fondatore del Movimento operaio socialista dell’isola. Quando durante le manifestazioni pubbliche era consuetudine intonare ad apertura le note di Giovinezzza e della Marcia Nuziale, lui non suonava, rimaneva in piedi tenendo ostentatamente abbassato il suo strumento, per poi riprendere fiato e iniziare a suonarlo quando ricominciava il consueto repertorio. Era il punto di riferimento di tutti gli isolani ai quali forniva sempre un aiuto, il punto di riferimento dei confinati, dei quali si prendeva cura correndo grandi rischi e aiutandoli, in un caso, perfino a scappare.
Qualche anno dopo, a guerra finita, uno strano e ironico intreccio del destino avrebbe fatto sì che Edda si innamorasse proprio del figlio di Don Eduardo, un certo Leonida Bongiorno, uomo di grandissima cultura, uno dei pochissimi siciliani entrati a far parte degli Alpini, fervido comunista e fierissimo partigiano.
Leonida Bongiorno
Una storia d’amore folle ma sincera allo stesso tempo, vissuta quasi pirandellianamente nell’ambiguità di quegli anni, nell’instabilità di quella situazione. Malinconica, dolce, appesa a un raggio di sole fino al tramonto, oltre gli eventi della vita che finirono per separarli ma che, probabilmente, non li separarono mai.
Ellenica: così Leonida apostrofò fin dai primi incontri Edda. Ellenica lo vide per la prima volta durante una manifestazione che lui, gridando poche e semplici parole d’occasione, riuscì a sedare. Nel giro di poco iniziarono le lettere, in francese e in inglese (forse per nascondersi dalla curiosità dei postini), e lui ben presto venne ribattezzato da lei “Baiardo”, dal nome del cavallo che contende all’Orlando Furioso il ruolo di protagonista nel poema di Ariosto, “Lectret”, generale sudamericano fra i liberatori di Cuba, “Caro amico e fidanzato”. Lui si sentiva come Ulisse al cospetto di Circe, intimorito e ammaliato.
Lo scenario del loro amore fu la casa del Timparozzo di Leonida, ribattezzata da Edda la Petite Malmaison. Parlavano, parlavano sempre moltissimo e lui le declamava a memoria i versi dell’Odissea, le raccontava i miti legati all’isola, l’incanto di antiche storie, gli orrori della guerra. La salvava piano da un umore nero che l’avrebbe probabilmente trascinata nell’abisso senza quell’amore a cui aggrapparsi. Lui la portava a fare un bagno nella spiaggia del Lazzaretto, fuori dal porto di Pignataro, o nella vicina isola di Vulcano, dove lei destava scandalo con uno dei primi costumi a due pezzi d’Italia, o a passeggiare, al tramonto, sulla piazza della Civita, la parte più alta dell’isola tra il Municipio e il Castello.
Nell’estate del ‘46 Edda ottenne però la libertà dopo solo nove mesi di confino, a discapito dei due anni di condanna, probabilmente grazie anche a Leonida che la aiutò con la stesura di un memoriale per affermare la sua distanza dalle decisioni istituzionali di padre e marito. Ad ogni modo, Ellenica partì, e l’amore dei due conobbe la lacerazione della distanza, la sofferenza della nostalgia e l’amarezza della gelosia. «Spero che voi siate infelice e soffriate a causa di Ellenica», scrisse lei appena arrivata a Roma. E ancora: «Chéri, darling, è piacevole alzarsi al mattino e ascoltare parole di amore che vengono da lontano».
La relazione venne però logorata dalla troppo evidente difficoltà nel ricongiungersi, dalla notizia del fidanzamento ufficiale di Leonida, per cui Edda compì il gesto estremo di rasarsi a zero i capelli, la partenza di lui preoccupato, un terribile addio sulla banchina del piroscafo a Palermo.
Un grido, una supplica: «Venite dunque con me. Non abbandonate questa felicità che gli Dei vi offrono».
Siamo alla fine. Le risposte di Leonida si fecero sempre più rare, sposò Angela, la sua “Chevelue” e da lei ebbe un figlio.
Gli anni passarono, e ormai anziani Leonida ed Edda si rincontrarono un’ultima volta sull’isola di Lipari, nel 1971.
Ad attenderla, c’era una targa che tutt’oggi si trova sull’isola come testimonianza di quest’amore così unico e complicato. Sopra, vi erano incisi i versi omerici con le parole di Circe: «Tu da solo col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte». Il loro amore non era finito.
l'Autrice
Paola Pulvirenti
Mi chiamo Paola Pulvirenti, ho ventiquattro anni e frequento un master in Management dell’arte e dei beni culturali presso la Treccani. Sono nata a Leonforte, un piccolo paese nelle terre di Proserpina. Dopo aver vissuto gli anni della triennale a Catania, mi sono trasferita a Ravenna e ho concluso un percorso di laurea magistrale in storia dell’arte, volto alla tutela, alla valorizzazione e alla comunicazione del patrimonio.
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